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I progetti che seguono coprono gli anni dal 2008 al presente, e consistono in interventi di sostegno alle comunità urbane svantaggiate, promuovendo l’avvio di attività produttive locali. AMOS & AMOS BBQ e Fish House Restaurant costituiscono due esemplari di attività a conduzione familiare ancora presenti nella comunità afro-americana delle Twin Cities; medesime realtà in via di estinzione all’interno del complesso e variegato tessuto di diversità culturale tipico delle città americane che in qualche modo resistono al proliferare delle catene di fast-food.
” Dry Cleaning Facility Addition Project” riguarda la progettazione preliminare per l’ampliamento dell’impianto esistente di lavaggio a secco e vari adeguamenti alla stringente normativa di protezione ambientale.
La progettazione ha fornito l’opportunità di intervenire contestualmente anche nel ridisegno dell’intero isolato il quale si presentava come un vuoto privo di connotazione spaziale e come forte smagliatura nel tessuto urbano limitrofo. Si è venuta così a profilare una soluzione attraverso la creazione di una parete diaframma a collegamento dei due angoli sud del lotto, fornendo lo spunto per iniziative di salvaguardia del tessuto connettivo sociale e di incentivo dei rapporti di vicinato. La parete diaframma è su due piani, con un secondo ordine di finestre in parte cieche parzialmente utilizzate come “skylights” e con annesso passaggio pedonale pubblico coperto.
– l’accesso pedonale all’impianto esistente è separato debitamente da quello veicolare con la creazione di un nuovo marciapiede pedonale collegato al portico di nuova costruzione.
– il servizio drive-in essenziale per le condizioni climatiche locali nella stagione invernale, avviene attraverso una corsia carrabile dedicata coperta da pensilina.
– viene ridato impulso alla piccola scala della vendita al dettaglio contrastando la crescita di suburbia e dei centri commerciali a discapito del tessuto cittadino, attraverso la collocazione di uno shop accessibile dallo spazio porticato con attività di pertinenza all’impianto.
"LA MACCHINA DEL TEMPO"
“The Time Machine”. Franconia Sculpture Park – Shafer, MN 2014.
C’è un labirinto-macchina all’interno di ogni dedalo; una struttura chiara dentro un’immagine caotica, l’immagine preordinata del destino dentro quella confusa del libero arbitrio, e l’immagine del labirinto è proprio questa: il filo d’Arianna racchiuso nelle spire del gomitolo. Con l’arrivo al centro del labirinto, il crononauta ha già trascorso le prime due dimensioni del tempo, il Presente e il Passato, e con il “soggiorno” mnemonico nel Passato ha potuto recuperare una memoria felice, un materiale del ricordo che porterà con se nei tragitti successivi entro il Futuro e infine nel Ritorno al presente. Quel materiale mnemonico diventa la materia prima di una emancipazione individuale paragonabile ad un processo alchemico di trasformazione psichica e spirituale.
I due cerchi nella “Macchina del Tempo” a differenza del movimento di una ruota dentata che ingrana due parti per produrre un vantaggio meccanico, si fondono e hanno lo stesso senso di rotazione, in senso orario o antiorario. La composizione musicale predispone all’immersione e sincronizza il viaggio dei crononauti attraverso i due cerchi. Il tragitto si svolge su anelli concentrici ai quali corrispondono 4 dimensioni temporali (Presente, Passato, Futuro e ritorno al Presente) generativi di rispettivi stati della mente: Presenza, Ricordo, Immaginazione e Narrazione. Tra passato e futuro si crea una fase “ipogea” collocata a un livello che, in una versione avanzata della TM, si troverebbe a una quota più bassa o in un volume cavo situato sotto il terreno dove si raccoglie il materiale della memoria. Le tre esecuzioni vocali, di Rhapsody, Wall of Happiness e Farewell, e l’intera composizione musicale mirano a creare una filigrana gaussiana di “curva a campana” che riflette lo sviluppo del ciclo fenomenico naturale: inizio, picco, fine e nuovo inizio.
L’opera multimediale reincorpora l’origine sacrale e auratica (quindi non spettacolare ed espositiva) delle rappresentazioni teatrali evocando il mito allegorico della fuga in volo di Dedalo come progetto di emancipazione della condizione umana, ampliando l’esperienza individuale alla dimensione universale.
Sebbene l’obiettivo del viaggio nel tempo sia quello di facilitare lo sblocco dei processi creativi nell’utente mentre si fissano obiettivi primari, in definitiva l’obiettivo della Macchina del Tempo è mettere in discussione l’evidenza suprema che governa il mondo e che ha plasmato la cultura e la civiltà occidentale: l’apparente divenire di tutte le cose, in altre parole, una nozione di tempo lineare come la rete all’interno della quale esseri altrimenti eterni sembrano cambiare, scomparire e ritornare nel nulla. Con l’opera multimediale, nella versione di teatro-danza della Macchina del Tempo, le transizioni da labirinto a boschetto e quella da statue a danzatrici sono il passaggio, fusione ed emancipazione da uno stato di cultura apollineo a uno stato di natura dionisiaco e creativo (il boschetto, la selva oscura dantesca , ecc). È il prendere coscienza del “dedalo/selva oscura” informe nel quale è racchiusa la forma chiara del labirinto come dualità indissolubile per il cammino verso la luce e la liberazione.
“Un’altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c’è una porta chiusa, e aggiungere che non c’è una sola serratura?” La casa di Asterione – Jorge Luis Borges. 1947
Nell’opera multimediale (teatro-danza) della Macchina del Tempo, lo strappo del velo che copre il trono, come atto esplicito di disvelamento, segna il culmine di una transizione/trasformazione: da divano a trono; da uno stato di riflessione, autoascolto, confessione (il sonno e il divano del psicoanalista) al percorso iniziatico di ritrovamento di se stessi , di uscita dal dedalo e avvio di un progetto di vita : “diventa cio’ che sei” recita l’attore, citando Nietzsche.
“L’uomo è un re che crede di essere un mendicante”. (Emanuele Severino, 2018).
"The Time Machine" 2013. "Of earthen time".
È stato dimostrato che la lunghezza dei fiumi, il loro serpeggiare dalla sorgente alla foce, è pari a circa 3,14 volte la distanza sorgente foce misurata in linea d’aria. Quindi la distanza in linea d’aria tra un’ansa e la successiva è sempre uguale al rapporto tra la lunghezza dell’ansa e pigreco. C’è una tendenza in natura, forse per minimizzare l’effetto di erosione nel caso dei corsi d’acqua, ad adottare tale rapporto come una percentuale ideale. Allocazione forse è la parola giusta per descriverla? È perché viviamo una sfera che queste cose sono vere?
La lunghezza di ogni gruppo di bambini quando si tengono per mano, deve essere sempre uguale al diametro dei cerchi: C/π=D= 31% del cerchio, in modo che ciascun gruppo sia contenuto nell’arco di circonferenza di 120 gradi (1/3C=33% del cerchio) quando i due gruppi si trovano uno di fronte all’altro durante la fase di pausa. Il numero di bambini di cui è composto ogni gruppo allorché si tengono distanziati per mano, è uguale al rapporto D/π. Per Franconia, per la sua scala, questo rapporto è risultato essere = a 13.
"LA MACCHINA DELL'ESSERE"
La Macchina dell’Essere” Mille Lacs Band of Ojibwe – Onamia, MN. 2017
Le acque color cielo dei 10.000 laghi del Minnesota incarnano la quadruplice unità di terra, cielo, divini e mortali espressa nel pensiero di Martin Heidegger. L’acqua del lago Mille Lacs riflette il suo cielo; terra e cielo si uniscono e si fondono attraverso l’elemento acqua come mezzo.
Il progetto della “Macchina dell’Essere” è un teatro ambientale su un’isola galleggiante, una meta-architettura itinerante sul Lago Mille Lacs caratterizzata da un’ambientazione che combina l’intento eco-conservativo con la costante evoluzione dello scambio tra la cultura mainstreem e la tradizione nativa degli Ojibwe incentrata sul riso selvatico: “il cibo che cresce sull’acqua”. La scelta dell’ambientazione all’interno di un limbo geopolitico come la riserva indiana di Mille Lacs posta sul suolo americano, è un pretesto per una finzione storica: un’evoluzione simulata al di fuori del tempo lineare imposto alla comunità e alla cultura dei nativi americani.
La Macchina dell’Essere” è incentrata su una copertura a forma di dreamcatcher nativo. Qui, il sogno, o meglio uno degli incubi da catturare, è la privatizzazione dell’acqua per esempio, e la schiavitù dell’uomo in generale, caduto nella trappola della cultura di mercato. Un acchiappasogni come feticcio di una tecnologia primordiale antropomorfa e zoomorfa che agisce positivamente sulla psiche del gruppo, un recettore acqua-vento-sole che veicola senza imprigionare il mondo fisico: vento, acqua, elementi naturali, il sole, il fuoco.
La Macchina non futile è una “macchina per disapprendere”, una risorsa culturale in antitesi con l’idea delle boarding schools, convitti creati per annichilire l’ingombrante cultura dei nativi americani che hanno abitato la regione dopo un esodo inziato 1500 anni fa a partire dal Nord Est degli Stati Uniti e dalla Costa Atlantica.
L’isola galleggiante itinerante attraverso il lago è sia un teatro-scuola, sia piattaforma di trattamento per pulire l’acqua senza prodotti chimici. Il teatro galleggiante travalica il terreno consolidato della scenografia pervenendo ad un idea di architettura intesa come macchina narrativa: uno spazio reale e vissuto in cui un gruppo di studenti bianchi apprende nuovi mezzi e ottiene la propria esperienza di sostentamento e dove gli spettatori sono tanto personaggi del dramma quanto attori: un’opera teatrale ambientale al di là del tradizionale divario palcoscenico-pubblico con completa reversibilità di finzione e realtà, scenotecnica e luogo architettonico.
La pièce teatrale ha come oggetto il prossimo passo evolutivo della nostra specie, che con ogni probabilità sarà radicalmente trans-umano. Lo scenario che unisce la meta-architettura itinerante sull’acqua con l’ambiente naturale del National Wildlife Refuge di Spirit Island, fa da sfondo a tre mondi otre culture, ovvero a un Essere onnipresente e a tre personaggi principali: un tutor Ojibwe che insegnail “Manoominikewin”, la raccolta e lavorazione del riso selvatico e l’arte di costruire canoe di corteccia dibetulla, uno studente bianco della scuola anti-boarding school, un cyborg incorporeo la cui coscienzaumana originale è stata caricata in un computer superintelligente e l’Acqua/Natura come sfondo sulquale si svolge la trama.
“Non riesco a concepire alcuna opera d’arte come avente un’esistenza separata dalla vita stessa.
“Non riesco a concepire alcuna opera d’arte come avente un’esistenza separata dalla vita stessa”.
Antonin Artaud – “Il teatro e il suo doppio”, 1938.
A causa del conflitto tra il suo carattere artistico e le sue dimensioni tecniche e funzionali, l’architettura è un dominio definito e costituito da “crisi”. La storia dell’architettura non segue uno schema in cui un linguaggio succede all’altro in una sequenza lineare. L’isola galleggiante è infatti una simulazione, uno stratagemma escogitato per una fiction storica in cui si immagina un’evoluzione della cultura dei nativi americani al di fuori della storia e del tempo lineare loro imposto. Le tradizioni native della tecnologia di tessitura e cordame e il modo in cui i nativi ameriani modellano il loro ambiente fisico riflettono un tale sviluppo ipotetico e la differenza rispetto alla modalità e all’interpretazione della tecno-scienza di Richard Buckminster Fuller con le cupole reticolari.
La copertura tesa sull’isola galleggiante è pensata come una tensostruttura che può estendersi e contrarsi riflettendo orizzontalmente la forma di un dreamcatcher nativo. L’incubo da catturare qui, è la privatizzazione dell’acqua.
Mentre gli uomini cambiano seguendo una legge che è di natura, il tempo non passa sul canone intrinseco delle istituzioni umane.
Scansando ogni conspiracy theory a riguardo, la pandemia che stiamo attraversando e che infesta il corpo sociale, si ripercuote sullo stato patologico dell’istituto sociale come su qualsiasi soggetto ad alto rischio che contrae il morbo pandemico; ma si tratta solo di congenialità. Il virus è congeniale a una manovra di separazione e di eclissi del tessuto sociale che è preesistente al virus. Ogni fattore disgregante è congeniale alle forme di controllo istituzionalizzate e centralizzate proprio perché sono poste a disaggregare ogni forma vera, opzione, possibilità e scelta alternativa di coalizione del consorzio umano. Anticorpi.
Oggi più che mai, in tempi di apocalissi sociali come quella che stiamo vivendo e di future catastrofi ambientali annunciate, i nostri progetti di macchine architettoniche non futili possono porsi come risposta all’individuo, il quale, una volta sciolti vincoli e rituali che l’univano alla comunità, se da una parte si è liberato da forme d’indottrinamento e controllo, dall’altra è destinato a un’annichilante deriva entro un regime di sostenibilità edonistica, senza i benefici della solitudine dell’anima, ma con le angosce dell’ isolamento esistenziale.
Il ponte coperto Imes in Iowa è un’immagine forte. Emana un potente senso del luogo. Lo abbiamo preso come ispirazione. Secondo Martin Heidegger, l’abitare, che ha in se la radice etimologica della parola costruire, avviene solo in un edificio che consente un senso del luogo.
Obiettivi progettuali:
1.Ricucire la frammentazione della quinta stradale collegando i due edifici esistenti.
2.Miglioramento dei percorsi pedonali e dell’accesso alle persone disabili collegandosantuario e casa canonica con nuova rampa interna.
3.Migliorare la funzionalità della struttura fornendo una nuova hall dedicata el’ingresso principale sul lato ovest.
4.Promuovere il tessuto sociale e l’identità della comunità attraverso la creazione di un” luogo” posto sotto l’edificio di culto, accessibile al pubblico e attrezzato con unagradinata.
C’è appunto qualcosa di potente e primigenio in linea con la missione della Chiesa della Restaurazione nell’aver individuato l’origine del progetto di annessione nella corte pubblica coperta intesa come un’architettura ipogea. Il muro in pietra emerge dal terreno sul lato sud dell’edificio come se fosse una chiesa monolitica scavata nella roccia. Un lavoro al rovescio, come nelle chiese più antiche del mondo: la chiesa rupestre di Lalibela in Etiopia ne è un esempio.
Stanchfield Bridge Restoration. 2019 - Con Becklyn & Whitney Engineers.
– Ripristino strutturale del ponte in disuso.
– Recupero del ponte come transito privilegiato agli insediamenti rurali di Stanchfield.
– Riqualificazione del paesaggio rurale / Progetto integrato di paesaggio.