Systems For Living è un’organizzazione not-for-profit con sedi negli Stati Uniti e in Italia, attiva nel settore della progettazione eco-compatibile e nella promozione della sostenibilità ambientale e sociale.

La missione di Systems For Living è quella di colmare una lacuna posta tra pratica architettonica tradizionale e utensili di design multipli, tra arti performanti e arti visive. Detta lacuna è coerente con la cultura di mercato e l’economia lineare. Un modo di operare lontano da quello che guida i risultati che si possono ottenere puntando alle forme spettacolari e puramente esornative dell’arte. L’obiettivo è creare forme d’arte non come oggetti autonomi calati dall’alto e a dialogo unidirezionale, ma come sistemi autopoietici in interazione orizzontale (“sistemi per vivere” appunto),  traducibili in eventi aventi la capacità di ricucire il tessuto sociale e le sue forme aggregative in molteplici modalità. 

Come not-for-profit, SFL prende le distanze da corporazioni di questo tipo basate su modelli con un portafoglio clienti operante nella privatizzazione dei servizi pubblici e con un ventaglio di attività incorporato nei meccanismi di stato gestiti secondo politiche neo-liberali.

In un sistema delle merci, il dualismo etica/estetica diventa opposizione binaria che rimuove, insieme a tutte le forze in opposizione apparentemente antagoniste, tutte le non-fiction: il non-bello, il non-bene, il non-conveniente/il non utile. L’apparato immobile della legalità si viene a sostituire integralmente a dinamiche di legittimità che emergono continuamente dal basso, ispirate da una sacralità spontanea nel tessuto sociale. 

Il profitto non è l’unica forza trainante per produrre beni e servizi anche al di fuori del dominio della pubblica utilitatà e quindi non è l’essenza chiave per lo sviluppo di un economia basata su un equa distribuzione della ricchezza.

“Assumere come scopo il profitto vuol dire organizzare la produzione in modo diverso da come la produzione è organizzata quando si assume come scopo la solidarietà” (Emanuele Severino 2003).

Non c’è architettura che possa essere definita veramente ecologica, o sostenibile — per usare una parola ormai divenuta un trito luogo comune — senza che vi sia la possibilità di essere calata in un tessuto sociale in perenne equilibrio e a benessere diffuso. Questo solo può garantire una forma attiva di sostenibilità ambientale e sociale e non l’ossimoro di uno sviluppo sostenibile marcato da una crescita economica sorretta da maggiore uso di energia e risorse materiali per fornire beni, servizi e tecnologie.
La divisione fittizia tra architettura e corpo sociale, così come quella tra umanità e natura è la madre di tutte le forme della sostenibilità edonistica. La sostenibilità edonistica è il risultato di un’estetizzazione dell’ecologia, o in altre parole la trattazione separata della natura secondo un rapporto biunivoco soggetto-oggetto, dove il soggetto è l’uomo e l’oggetto di studio la natura confinata al ruolo di “cosa”. La sostenibilità edonistica agisce interamente nell’ambito del costruibile e si riduce a puro apparato ornamentale, a tatuaggio applicato sul corpo sociale facente appello interamente al proclama e alle forme retoriche e ostentate della green economy, della casa ecologica e delle città futuribili. I dileguati modelli della civiltà dell’abitare modernista come la “machine a habiter” erano fermi ai caratteri dell’ente-oggetto trascurando la questione profonda ed essenziale dell’esistenza e della temporalità. La sostenibilità edonistica ha sempre un’unica origine, una stessa figlia che una volta aveva il volto ritratto dalle profezie illusorie e tramontate del movimento moderno; oggi è quanto viene concesso dalle forze economiche attrici e agli adetti alla trasformazione del territorio in funzione dei paradigmi della crescita economica e dello sviluppo illimitato.

Non supportiamo una nozione romantica della natura né l’idea che gli esseri umani possano sopravvivere se superano le alienazioni della modernità. Il saccheggio ambientale non è legato all’escalation della rivoluzione industriale o alla crescita esponenziale della tecnologia, ma l’azione esercitata da una parte dell’umanità che ha da sempre adottato lo sfruttamento delle risorse naturali come base del dominio istituzionale dell’uomo sull’uomo e non come forma di sopravvivenza. La maggior parte delle forze politiche sostiene tacitamente questa resa all’annichilimento progressivo in funzione dello sviluppo. Difendere un principio ambientalista significa, prima di tutto, svolgere un’azione politica – indipendentemente dal riconoscimento o meno di un certo futuro di estinzione – per resistere e contrastare l’opzione che rinuncia alla natura e implicitamente all’intera umanità.

Un tempo quest’albero faceva parte di un sistema vivente composto da una rete di 3 tronchi che interagivano come un tutt’uno senza soluzione di continuità. In seguito a un temporale due tronchi caddero lasciando in piedi solo il terzo al centro. È un’immagine manifesto, un aspetto dell’abilità dei sistemi viventi in modalità di sopravvivenza. La formula è chiara e semplice, sotto i nostri occhi. La cultura di mercato crea condizioni in cui ulteriori progressi dell’economia umana in modalità competitiva aumenteranno esponenzialmente le nostre possibilità di estinzione. Il prossimo passo nella nostra evoluzione è accettare e abbracciare questa verità ultima. Le nostre possibilità di sopravvivenza dipendono dai beni comuni e non dalle merci, da una società basata sulla comunità e sulla cooperazione, non sulla competizione.

UNA DIFFERENTE RELAZIONE DI FORZE.
I progetti della “Macchina del Tempo” a Franconia Sculpture Park- Shafer,
e della “Macchina dell’Essere” a Onamia-Mille Lacs. Minnesota – USA.

L’idea di una macchina del tempo, non fantascientifica e non metafisica, da associare alla forma archetipa del labirinto, scaturisce dalla volontà di creare un dispositivo architettonico a impronta ecologica “0”, che senza scintille, senza fumo e senza luci lampeggianti, consenta di viaggiare nel dedalo della memoria umana legando insieme temporalità ed esistenza.

“La Macchina dell’Essere” è incentrata su una copertura a forma di dreamcatcher, “l’acchiappasogni” appeso sulle culle dei bambini nativi americani. Qui il sogno, o meglio l’incubo da catturare, è la privatizzazione dell’acqua per esempio, e la schiavitù dell’uomo in generale, in dipendenza assoluta di una cultura iperconsumistica. La scelta dell’ambientazione all’interno di un limbo geopolitico come la riserva indiana di Mille Lacs posta sul suolo americano, è un pretesto per una fiction storica, un’evoluzione simulata al di fuori del tempo lineare imposto alla comunità e alla cultura degli Objiwe. “Gli indiani” nativi sono in fondo un’immagine della condizione umana universale. Nella loro condizione attuale c’è la parabola dell’intera umanità. Superstiti di un olocausto sociale e culturale, privati delle proprie radici, dei propri costumi e della propria lingua a favore di un assorbimento secondo la più squisita tradizione colonialista, la condizione nella quale essi si trovano per rapporto al governo centrale è la stessa nella quale riversa il resto dell’umanità nella propria condizione di assoggettazione a una forma alienata di vita dove il vivere è completamente sostituito dal sopravvivere sottomessi alle logiche del valore di scambio.

 

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“O P U S  E X  M A C H I N A E”
T H E  T I M E  M A C H I N E  &  T H E  B E I N G  M A C H I N E
2 MULTIMEDIA INTERACTIVE INSTALLATIONS MERGING
PERFORMING AND VISUAL ARTS

Written, choreographed and directed by ROBERTO FRANCESCO CICERO
Music: FRANCESCO CARDONE
Architecture and Stagecraft: ROBERTO F. CICERO, 

LUIGI FESTA,
MICHAEL E. HALE

Exhibition held in 2017
@ FRANCONIA IN THE CITY CASKET GALLERY
1781 Jefferson St. NE Minneapolis, MN 55418

Idee e metodologie nella direzione di un processo progettuale allargato, idoneo a sostenere la capacità dell’architettura a operare come agente di trasformazione sociale positiva e di tutela e recupero ambientale.

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Cos’è la “Time Machine”?

– è una macchina interattiva e multimediale. La TM incarna l’immagine archetipica del labirinto aprendosi all’esperienza individuale come luogo di un rituale di passaggio e al tempo stesso esperienza iniziatica e trasformativa per chiunque voglia esplorare, sia esso adulto o bambino, la propria “Macchina del Tempo”. Il labirinto, infatti, contrariamente al significato ristretto che gli si da comunemente di luogo nel quale “ci si perde”, è all’origine della storia della civilizzazione umana come luogo nel quale ci si deve perdere ma solo per potersi ritrovare poi, emancipato e libero. L’uso primordiale del labirinto, segnava il passaggio all’eta adulta attraverso il rituale iniziatico collettivo della peregrinazione interna a un tracciato unicorsale con un unica via d’ingresso che conduceva al centro (evidentemente il nucleo psichico individuale, ma anche l’anima collettiva del gruppo) e un unica via d’uscita.

Cos’è la “Macchina dell’Essere”?

– è un teatro ambientale, una meta-architettura itinerante sul Lago Mille Lacs caratterizzata da un’ambientazione che combina l’intento eco-conservativo con la costante evoluzione dello scambio tra la cultura mainstreem e la tradizione nativa degli Ojibwe incentrata sul riso selvatico: “il cibo che cresce sull’acqua”. L’isola galleggiante è sia teatro-scuola, sia piattaforma di trattamento acqua senza prodotti chimici. Il teatro è uno spazio reale e vissuto in cui un gruppo di studenti bianchi apprende nuovi mezzi di sostentamento e dove gli spettatori sono tanto personaggi del dramma quanto attori. La pièce teatrale ha come oggetto il prossimo passo evolutivo della nostra specie, che, con ogni probabilità, sarà radicalmente trans-umano. Lo scenario, che unisce la meta-architettura itinerante con l’ambiente stazionario del National Wildlife Refuge di Spirit Island, fa da sfondo ai 4 personaggi principali, ovvero tre mondi o tre culture e un Essere onnipresente: un tutor Ojibwe , uno studente bianco, un cyborg incorporeo la cui coscienza umana originale è stata caricata in un computer superintelligente e l’Acqua/Natura come sfondo sul quale si svolge la trama.

La lezione data dal saggio proto-moderno di Adolf Loos “Ornamento è Delitto” (1908) apre la prospettiva storica necessaria per identificare miti modernisti (come ad esempio “la machine a’ habiter” ), che trascurarono le questioni profonde ed essenziali dell’esistenza e della temporalità. 

La sostenibilità edonistica ha un’antica essenza originaria: l’illusione di una cultura della differenza nell’uniformità di profezie tramontate, un credo e un proclama che un tempo erano incarnati dalla condizione moderna che si affacciava al secolo nascente e che poi venne a tramutarsi in International Style. Oggi è ciò che viene concesso a chi è  incaricato di trasformare l’ambiente urbano e territoriale secondo i paradigmi della crescita e dello sviluppo economico, portando a spettacolarità, gentrificazione, migrazione e declino dell’architettura a mero ruolo di servizio all’agenda di marketing e comunicazione di un cultura iperconsumistica. 

Nessun intervento che si possa definire veramente sostenibile può astenersi da atti non violenti di sabotaggio della visione nichilista del mondo in seno alla sostenibilità edonistica. Non è possibile una protezione delle risorse rinnovabili senza prima riparare il tessuto sociale.

RFC

Urban Rural Collage - Mike Hale
Urban Rural Collage – Mike E. Hale